Il commento della Presidente del CNG sull’Huffington Post Italia: “I giovani siano in prima linea nella ricostruzione”

Nella vita di ciascun italiano è entrato con prepotenza il rapporto quotidiano con i numeri dell’emergenza sanitaria da Covid-19: numero di malati, di nuovi contagiati, di pazienti in terapia intensiva, di chi non ce l’ha fatta e di chi, una volta guarito, ha potuto fare ritorno a casa. Sono numeri che in queste settimane ci hanno restituito un’istantanea di una realtà drammaticamente inconfutabile: è la peggiore emergenza che ci troviamo a vivere dal secondo dopoguerra.

Ci sono poi numeri la cui interpretazione non può essere così immediata ma la cui realtà potrebbe manifestarsi limpidamente in un futuro non molto lontano. Sono i numeri che riguardano i giovani, milioni di ragazze e ragazzi che vivono oggi tra paure e speranze e che la pandemia ha drasticamente messo in quarantena forzosa.

Contenuta la diffusione del contagio con il ricorso ad un rigoroso e più volte prorogato lockdown, all’inizio di quella che viene definita la “fase 2”, il rischio che corriamo – senza scadere nella retorica – è che le giovani generazioni paghino il costo più alto della crisi, considerando che il rientro al lavoro di queste ore coinvolgerà prevalentemente le fasce d’età più alte. Nelle attività che resteranno chiuse dopo il 4 maggio, infatti, sono impiegati il trenta per cento dei giovani fino ai 29 anni e il ventotto per cento di quelli che hanno fino a 39 anni.

E’ la stessa generazione che ha vissuto due crisi, senza precedenti, in poco più di dieci anni. Ci aveva pensato, infatti, già la grande recessione scoppiata nel 2008 con la spinta di meccanismi finanziari di contagio che hanno aggravato la spirale recessiva in diversi Paesi europei causando la crisi del debito sovrano, a lasciare indietro i giovani.

Oggi, davanti a previsioni di tracollo dell’economia globale che lasciano intravedere gli impatti dell’attuale crisi, di certo maggiori rispetto a quelli della grande recessione, possiamo comprendere chiaramente i costi socio-economici che ci attendono. Da qui l’importanza di quei numeri, di quei milioni di giovani, del loro futuro che dipende, oggi più che mai, dalle nostre scelte e dalle strategie che le Istituzioni nazionali sono chiamate a mettere in campo.

Se è vero, infatti, che il costo sociale diretto, chiaro e visibile, di questa crisi sanitaria è la mortalità che ha colpito in primo luogo gli anziani, soprattutto in Italia, il costo indiretto maggiore sarà a carico dei giovani, dei loro percorsi formativi e occupazionali, dei loro progetti di vita, anche in prospettiva, a causa dell’ulteriore e inevitabile aumento del nostro debito pubblico.

Da qui la necessità di scongiurare il rischio di un aumento delle diseguaglianze tra generazioni che dipendono esse stesse dalla tipologia di inquadramento per chi ha un lavoro, dalle minori possibilità di inserimento per chi ancora non ha un’occupazione e la possibilità, ancora una volta, che milioni di giovani pronti a fare scelte coraggiose, a seguire progetti e passioni, siano costretti a rimandare il loro futuro in assenza di un nuovo modello socio-economico di sviluppo del Paese che riconsideri il ruolo delle giovani generazioni.

Perché al di là dell’efficacia delle singole misure emergenziali, non possiamo dimenticare la storica esistenza in Italia di una “questione giovanile” irrisolta. L’emergenza in corso potrebbe diventare l’occasione per provare ad affrontarla, con un approccio coordinato tra i diversi settori, anche grazie alla sospensione dei vincoli comunitari di bilancio. Un nuovo patto economico per i giovani italiani sarebbe la strada migliore per far ripartire l’Italia ponendo le nuove generazioni nelle condizioni di partecipare in modo pieno alla ricostruzione del Paese.

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